10/06/2019 |23:16

Respinto. Di nuovo. Anche nel merito. Si infrange sullo scoglio del TAR il battello del presidente Taccone, desideroso di riconquistare la Serie B perduta dopo le traversie patite lo scorso Luglio. Nulla di fatto quindi, malgrado gli sforzi profusi dal folto pool di legali composto da Lorenzo Lentini; Eduardo Chiacchio; Italo Rocco; Silvia Morescanti e Franco Vigilante. Con il verdetto odierno cala definitivamente il sipario sulla società che ha rappresentato il calcio irpino per nove, lunghissimi anni. Con buona pace di quel manipolo di visionari che speravano di poter riottenere una categoria difesa sul campo da una squadra, di fatto, mai retrocessa (si salvò a Terni tra l’euforia generale). Nonostante l’ottimismo filtrato nelle settimane scorse dagli ambienti Tacconiani, l’Us Avellino è stata cancellata dalla geografia calcistica nazionale per una fideiussione inidonea (la Onix Asiguari) ed un’altra (Groupama) presentata oltre i termini perentori. Un errore marchiano, certo. Ma meno grave dell’episodio che vide protagonista il dirigente Pagliara, fermato all’indomani di Genoa-Venezia con una valigetta contenente 250.000 Euro (ai liguri non fu revocata la licenza ma fu disposta “solo” la retrocessione in C); meno grave di Calciopoli, dove non vi fu alcuna radiazione, ma furono inflitte solo penalizzazioni di varie entità a Lazio, Milan, Reggina, Fiorentina e retrocessioni (alla Juventus in B); meno grave (o grave quanto) i casi recenti di Palermo, Lucchese, Piacenza e Matera. Stessa nazione, stesso sport, stesso ordinamento: eppure, all’Avellino, nonostante non sia stato commesso illecito alcuno è stata revocata la licenzia nazionale con l’impossibilità, sine die, di iscrizione a tutti i campionati. Una disparità di trattamento palese che mina la residua credibilità di un movimento rappresentato da un crogiuolo maleodorante di interessi politici, economici, finanziari e massonici.

TRADIMENTI E OPPORTUNISMI - I tifosi, gli stessi che un anno fa manifestavano al CONI gridando al sopruso, alla disparità di trattamento, alla congiura adesso esultano, scantonano, gioiscono. Ciò che un anno fa rappresentava un’ancora di salvezza (il ricorso di quel povero Cristo di San Chiacchio), negli ultimi tempi era percepito come un ostacolo alla resurrezione sportiva targata Gianandrea. Cosa è successo? Come può una tifoseria auspicare la morte della stessa entità che ha contribuito a far rinascere nel 2009? Semplice. E’ successo che la piazza ha anteposto il livore (in parte anche condivisibile) nei confronti di Taccone alla sopravvivenza della propria squadra (la stessa idolatrata per un decennio) arrivando addirittura ad augurarsi il fallimento pur di sbarazzarsi dell’odiato (un tempo amato) presidentissimo. Anche i giornalisti, gli stessi che a Luglio scrivevano che l’Avellino stava “giocando la partita più importante nelle aule di giustizia” hanno letteralmente abbandonato la barca (non fornendo più alcuna notizia) limitandosi a copiare e incollare la sentenza a babbo morto o a irridere la vecchia società con spunti sadici. Uno scenario impronosticabile a Napoli, Roma o Salerno dove i vari Lotito, Pallotta e de Laurentiis subiscono da anni contestazioni vibranti ma nessun tifoso o giornalista si è mai sognato di sperare nella sparizione del proprio club. Eppure ad Avellino si è scelto di recitare la parte del figlio che, per antipatia nei confronti del medico, spera nella morte di un proprio caro. O del marito che si taglia il cazzo pur di fare un dispetto alla moglie. Un film a cui mai avremmo voluto assistere e che mai dimenticheremo…

 

 di Maurizio de Ruggiero

 

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